sabato 23 settembre 2017

Approfondimenti #1: Alla scoperta di Nesbø e del suo Harry Hole



Uno degli autori che più amo è certamente Jo Nesbø. Non so quanti lettori lo conoscano, io stessa, nonostante sia stato tradotto già dieci anni fa in Italia, l’ho scoperto solo da due anni.

Jo è un tipo molto particolare. Prima di cominciare a scrivere romanzi ha fatto il calciatore, l’analista finanziario e il musicista (suona ancora oggi, comunque). Nel 1997 gli viene chiesto di scrivere un libro sulla vita in tour con la sua band e lui, invece, inventa il personaggio di Harry Hole e scrive il suo primo romanzo. In seguito, pubblica altri dieci libri con protagonista Hole, vari romanzi autoconclusivi (non legati, dunque, alla serie e con differenti protagonisti) e un’altra breve serie di quattro soli romanzi con protagonista il dottor Prottor e dedicati fondamentalmente ai più giovani.

Il commissario Hole (il cui cognome si pronuncia all’incirca per come è scritto, prolungando un po’ la vocale “O”) è il suo personaggio più noto e la sua serie conta ben undici libri. La serie inizia vent’anni fa, nel 1997, con uno sconosciuto Harry Hole che si ritrova in Australia ad indagare sulla morte dell’ambasciatore norvegese che si trova lì. Scopriamo che Harry ha non pochi problemi con l’alcol e che è da poco uscito in modo tragico da una relazione con Kristin. In Australia si innamora di Birgitta e sente quasi di poter ricominciare, ma Harry non sa cosa ancora lo aspetterà nei successivi dieci romanzi.

In questo articolo non recensisco nessuno degli undici libri della serie e nemmeno mi soffermo a raccontarne le trame. Basterà dirvi, per il momento, che i miei preferiti sono fondamentalmente quattro: Il pettirosso, L’uomo di neve, Lo spettro e Polizia. Quattro storie del tutto diverse tra loro, un Harry Hole in continua crescita ed evoluzione ed emozioni e colpi di scena assicurati.

Nesbø ha davvero uno splendido stile di scrittura: riesce a tenere il lettore incollato alle pagine e, se avete la pazienza e la voglia di leggere la serie nell’ordine originale di pubblicazione, si nota anche facilmente l’evoluzione del suo stile. Nei primi romanzi, infatti, il racconto dei fatti ci viene presentato dal singolo punto di vista di Hole; dal terzo libro, invece, Jo inizia a sperimentare inserendo descrizioni e narrazioni che stuzzicano la fantasia del lettore come se si trattasse di scene cinematografiche ed inserisce, inoltre, la molteplicità dei punti di vista, giocando anche sul piano spazio-temporale; nei successivi romanzi e fino all’ultimo della serie, infine, arriverà a presentarci direttamente il punto di vista dell’assassino (come in Sete) o quello della vittima (come ne Lo spettro, non a caso uno dei miei preferiti).

Ottobre 2017 vedrà l’uscita nelle sale cinematografiche dell’adattamento di uno dei romanzi della serie, L’uomo di neve. Il tenebroso Harry Hole sarà, sul grande schermo, il bel Michael Fassbender, che dovrà fronteggiare proprio l’Uomo di neve. Il serial killer così chiamato, infatti, comincia a mietere vittime tra le donne sposate di Oslo e l’obiettivo di Harry sarà proprio quello di smascherarlo e catturarlo prima che uccida la vittima successiva. Non può immaginare la vera identità dell’Uomo di neve fino alla fine delle indagini e la rivelazione sarà uno shock tanto per lui quanto per il lettore-spettatore.

Avete letto qualche romanzo di Jo Nesbø? Vi ho incuriositi almeno un pochino con le mie parole? Pensate di leggere L’uomo di neve prima dell’uscita del film? Oppure lo recupererete solo dopo essere stati al cinema? Io ho altissime aspettative per questo film: il romanzo mi è piaciuto davvero tanto e spero, dunque, che il film non mi deludi!

giovedì 7 settembre 2017

Recensione #1: La paura e l'amore tra le macerie


“E vedo il viso di Fred, che sta inesorabilmente invecchiando, consumato da una vita che sarebbe stata e sarebbe inutile senza l’amore ch’egli m’ispira. Il viso di un uomo che troppo presto ha cominciato a sentirsi indifferente verso tutto ciò che gli altri uomini hanno deciso di prendere sul serio. Lo vedo spesso, molto spesso; e ora che non è più con noi, più spesso di prima”.


Tra le prime pagine del romanzo E non disse nemmeno una parola di Heinrich Böll compare questa frase pronunciata da una dei due protagonisti, Käte, e che riassume alcuni degli argomenti affrontati: l’amore, l’indifferenza, la noia, la separazione, insieme ad altri.
Mi ritrovo a parlarvi di un libro letto un po’ di tempo fa, ma che mi ha segnato come pochi altri. La trama è molto semplice, la narrazione riassunta al minimo indispensabile, anche se l’autore la riempie di temi molto profondi.

Fred e Käte sono due coniugi che vivono separati e che si vedono occasionalmente quando Fred organizza degli “incontri clandestini” con la moglie. Il romanzo narra proprio l’organizzazione di uno di questi incontri e la narrazione, che ruota attorno ad un unico episodio e si svolge in non più di due giorni, prosegue alternando il punto di vista di Fred a quello di Käte, capitolo dopo capitolo.
Fred trascorre la sua giornata passando alcune ore ad impartire lezioni private per guadagnare qualcosa in più, fa recapitare il suo stipendio a casa dalla moglie, va alla ricerca di denaro tra i suoi conoscenti e cerca una camera libera in alberghi scadenti ed economici. Käte, invece, si dedica alle pulizie domestiche (di quel monolocale che Fred non riesce più a sopportare), lascia i tre figli con dei ragazzi che si occuperanno di loro per la notte e va a confessarsi prima di incontrare il marito.
Potrebbe sembrare un racconto banale e, in effetti, la vicenda è estremamente semplice e molto poco accattivante in sé. In realtà, attraverso l’alternanza dei punti di vista, attraverso le piccole esperienze giornaliere dei protagonisti, attraverso le semplici azioni che essi compiono, Böll racconta la dura verità degli anni ’50 circa.

E non disse nemmeno una parola testimonia la Germania delle macerie del secondo dopoguerra, presenta la nascente epoca del consumismo, tratta il tema della religione e quello dell’amore, parla dell’estraneità che viene a crearsi tra gli individui. Ciascun punto viene affrontato in maniera tanto delicata quanto di forte impatto emotivo, lasciando una testimonianza molto forte che è difficile ignorare.
Il romanzo, infatti, può essere letto su diversi livelli. Il livello più superficiale vede la suspense come collante che tiene congiunto il lettore all’opera: per quasi tutti i capitoli, infatti, non si aspetta altro che l’incontro tra Fred e Käte e la lenta narrazione dell’intera giornata contribuisce a far aumentare la curiosità e l’attesa. Questo dà l’occasione di delineare degli argomenti di un ulteriore livello: l’amore e le relazioni familiari.
Le relazioni familiari e le interazioni umane in generale procedono con grande difficoltà: Fred e Käte non hanno un vero e proprio rapporto interpersonale ed il colloquio che tengono durante il loro incontro sembra la prima vera conversazione che affrontano dopo tanto tempo; per l’intera giornata nessuno dei due ha delle vere e proprie relazioni con altri (Fred interagisce con delle famiglie per guadagnare qualcosa in più attraverso delle lezioni private e con un conoscente a cui chiede del denaro per vedersi con la moglie; Käte scambia qualche battuta con la sua vicina, la signora Franke, e parla con il prete durante la confessione), l’unica persona che riuscirà ad instaurare un rapporto con i due coniugi in momenti diversi è la ragazza del caffè che, come dice Fred, “riesce a toccare il cuore”.
L’amore sembra essere ancora uno dei pochi legami tra i due coniugi, nonostante Fred abbia abbandonato la famiglia a causa della sua insofferenza verso la povertà e la miseria in cui sono costretti a vivere. Non a caso, diverse volte Fred e Käte si dichiarano ancora il loro amore, in maniera non convenzionale e forse proprio per questo ancora più toccante: “Cercavo qualcuno con cui poter fare colazione per tutta la vita, e la mia scelta cadde su di te. E con te non mi sono mai annoiato”, le dice Fred; “Mi sono già chiesta più d’una volta perché lo amo. Non lo so di preciso, i motivi sono tanti, ma uno lo so bene: perché è bello andare alla fiera con lui”, riflette Käte.
C’è però dell’altro che aveva legato i due coniugi: “A lei mi legava qualcosa che unisce due creature più che il dormire insieme: c’era stato un tempo in cui avevamo pregato insieme”. Questo è un altro argomento affrontato dall’autore cattolico: la religione, la fede capace di tenere uniti gli esseri umani. Böll mostra il personaggio di Fred ormai diventato cinico e indifferente verso la fede e le istituzioni religiose (nonostante lavori al centralino ecclesiastico), ma in realtà è la figura di Käte ad imporsi sotto questo punto di vista, il sentimento religioso sviluppato dalla donna è interiorizzato e privatizzato: “Dio solo parve rimanere con me in quel malessere che mi sommergeva il cuore, mi riempiva le vene, circolava dentro di me come il mio stesso sangue”. Non a caso il personaggio di Käte simboleggia un eroismo quotidiano e silenzioso, è una donna che affronta con forza la fatica e la disperazione: a lei, probabilmente, fa riferimento il titolo del romanzo, ad una donna che sopporta la miseria e la sofferenza “senza dire nemmeno una parola”, come dice la canzone che ascolta per caso, sostenuta dalla sua incrollabile fede.
Il romanzo affronta anche i temi della povertà (toccante la presa di coscienza di Fred quando vede i suoi figli durante la processione), della morte (Fred confessa alla moglie che vi pensa continuamente da quando è stato in guerra), della malattia e della noia (causate dalla guerra e che non è una condizione solo di Fred, come si potrebbe pensare: rivede per caso un compagno di trincea che adesso è un cameriere e nel quale riconosce “un affilato volto sofferente, che avevo veduto a tremila chilometri di distanza e che ora mi portava indifferente un piatto di gulasch”), e del consumismo (il raduno dei droghieri, nominato diverse volte, e le scritte pubblicitarie intermittenti che catturano continuamente gli sguardi dei protagonisti).

La lettura di questo romanzo è stata una piacevole rivelazione; me ne sono innamorata subito e penso sia uno di quelli che, pur essendo poco conosciuti, meritano comunque davvero tanto di essere letti: oltre ad essere una piacevole lettura e ad avere una trama carina, affronta anche dei temi molto importanti senza urtare il lettore ma, contemporaneamente, toccandolo nel profondo.

venerdì 1 settembre 2017

Dei libri sotto il braccio



Ciao a tutti!

Il primo post del blog servirà a spiegarvi da dove deriva il nome.

Dei libri sotto il braccio. Niente di più scontato per dei lettori incalliti: quale booklover non cammina letteralmente con dei libri sotto il braccio o, al massimo, dentro la borsa? Ebbene, ecco il richiamo al nome del blog, niente di più semplice.

Non è però finita qui. L’idea nasce dalla lettura di uno dei romanzi che mi ha più segnato l’anima, ovvero L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera. Qui, infatti, l’autore ci presenta nelle prime pagine il personaggio di Tereza con queste parole: “Un libro era per Tereza il segno di riconoscimento di una fratellanza segreta. Contro il mondo della volgarità che la circondava, essa aveva infatti un’unica difesa: i libri che prendeva in prestito alla biblioteca comunale; soprattutto i romanzi: ne aveva letti un’infinità, da Fielding a Thomas Mann. Le offrivano la possibilità di una fuga immaginaria da quella vita che non le dava alcuna soddisfazione, ma avevano significato per lei anche in quanto oggetti: le piaceva passeggiare per strada con dei libri sotto il braccio. Essi rappresentavano per lei ciò che il bastone da passeggio rappresentava per un dandy del secolo scorso. La distinguevano dagli altri”. Ecco: chi di noi non si identifica con Tereza in questa descrizione? Tra l’altro, ho anche provato enorme simpatia e affetto per Tereza durante tutte le sue (dis)avventure e disgrazie (perché, per la maggior parte delle volte, si tratta proprio di questo!). Ed ecco, quindi, un altro motivo che mi ha spinto a dare questo nome al blog.

E, infine, un’ultima aggiunta: dopo aver pensato al nome per questi due motivi, mi è subito venuta in mente la terza e decisiva ragione per sceglierlo come titolo del blog. Dei libri sotto il braccio mi fa pensare alla canzone Albachiara di Vasco Rossi, anche se il testo dice semplicemente: “Con la faccia pulita cammini per strada mangiando una mela coi libri di scuola, ti piace studiare e non te ne devi vergognare”. Non dice affatto che i libri li porti sottobraccio, ma io l’ho sempre immaginata così, perciò eccovi spiegata anche questa mia personale associazione!

Auguro a tutti una buona permanenza nel mio modesto blog e ringrazio tutti voi che vi iscrivete e mi seguite, voi che passate per un commento o un saluto e anche voi che date una semplice sbirciata.