Origin è il quinto capitolo della serie di Dan Brown con
protagonista il professor Robert Langdon.
Come già sappiamo dai precedenti romanzi, Dan Brown è un
grande esponente del genere action-thriller, in cui il protagonista deve
risolvere una serie di misteri, raccogliere indizi e decifrare simboli per
arrivare alla soluzione del caso. Nei romanzi di Dan Brown, tutto ciò si
mescola spesso all’arte e alla letteratura: troviamo, infatti, riferimenti a Dante
Alighieri in Inferno o a Leonardo nel suo più famoso bestseller Il codice Da
Vinci.
Anche in Origin non mancano questi riferimenti artistici e culturali,
complice anche il fatto che il romanzo è ambientato in Spagna, culla di un
immenso patrimonio di opere e monumenti.
Gli eventi fondamentali si svolgono inizialmente a Bilbao,
sede del famosissimo museo Guggenheim, per poi spostarsi a Barcellona, tavolo
da lavoro del noto architetto Antoni Gaudí. Inoltre, si fa riferimento ad
alcuni luoghi nevralgici di Madrid, essendo coinvolta anche la famiglia reale
spagnola, e di Budapest, sede di uno degli omicidi di questo romanzo.
Oggi andiamo proprio alla scoperta di alcune opere che
incontriamo grazie alle avventure di Robert Langdon in questo libro, in particolare
ci concentriamo sul Museo Guggenheim.
Il romanzo si apre con una sensazionale scoperta fatta dal
futurologo Edmond Kirsch, allievo di Langdon molti anni prima. Kirsch scopre la
risposta alle due domande che l’uomo si è sempre posto: “Da dove veniamo? Dove
andiamo?” e la sua scoperta mina le basi di tutte le religioni del mondo. Per
la sua presentazione pubblica, Kirsch sceglie come location l’avveniristico
museo Guggenheim di Bilbao, dove invita i più illustri e influenti personaggi
sociali, compreso il professor Langdon. Prima dell’annuncio, gli ospiti hanno
l’opportunità di fare una visita guidata personalizzata tra le opere del museo
e anche noi possiamo fare un piccolo tour virtuale seguendo Langdon e la sua
guida Winston.
Il
Guggenheim di Bilbao è un museo di arte contemporanea progettato
dall’architetto Gehry ed inaugurato nel 1997.
All'ingresso
del museo, la prima opera che Robert vede è Puppy, l’enorme cane fatto di acciaio,
legno e terreno e ricoperto interamente di fiori. Realizzato dall'artista
statunitense Jeff Koons, Puppy è un West Highland White Terrier alto circa
tredici metri, è realizzato con 70.000 fiori e ha un sistema di irrigazione
interno. Nasce nel 1992, prima dell’apertura del museo, ma, dopo
l’inaugurazione, viene qui posto in maniera definitiva.
Ancora
all'esterno, Langdon si trova ad osservare Maman, opera della scultrice
franco-americana Louise Bourgeois. Si tratta di un ragno gigante realizzato nel
1999, alto quasi una decina di metri, e completo anche della sacca delle uova.
Da una parte, l’opera è legata al ricordo della madre dell’artista (da qui il
titolo Maman): la madre era, infatti, una tessitrice (proprio come i ragni)
ed anche una figura positiva e difensiva, così come i ragni sono animali utili
e protettivi contro le zanzare portatrici di malattie. Dall'altra parte, sul
piano della simbologia rappresenta invece la superbia richiamando il mito di Aracne. Il mito racconta dell’abile tessitrice che ripeteva di essere
migliore della dea Atena, protettrice delle arti: quest’ultima decise di
sfidarla, ma Aracne le dava filo da torcere e perciò fu trasformata in
ragno e costretta a tessere per tutta la vita a causa della sua spavalderia.
Sempre
all'esterno, Robert si imbatte in un banco di nebbia, riuscendo a capire solo
in un secondo momento che si tratta della strana installazione della giapponese
Fujiko Nakaya dal titolo Fog che nasce grazie alla comparsa, in maniera
artificiale, della nebbia su un ponte attraverso un sistema di tubature. È
stata realizzata nel 1998, installata in modo permanente in una piscina esterna
del museo ed il titolo – oltre che indicare la nebbia in lingua inglese – è
anche un omaggio all'architetto che realizzò il Guggenheim di Bilbao, Frank O.
Gehry.
Varcata la
soglia del museo e guidato dalla voce di Winston nelle sue cuffiette, Langdon
osserva alcune delle opere esposte all'interno.
Una delle
più suggestive è Installation for Bilbao, della statunitense Jenny Holzer.
L’artista, attraverso le sue opere realizzate grazie all'impiego della
tecnologia, ha sempre avuto un forte impegno sociale e, nel caso di Bilbao,
decide di sensibilizzare i visitatori sull'AIDS: nel 1997 realizza, dunque,
nove strisce a led verticali sulle quali scorrono delle frasi come “I say your
name” o “I save your clothes” in tre diverse lingue (basco, spagnolo e
inglese).
apparire il duro metallo come se fosse morbido e malleabile. Quest’opera (o serie di opere) in particolare invita i visitatori a girarvi intorno o entrarvi dentro, permettendo di osservarla da differenti punti di vista e dando l’apparenza di uno spazio in movimento (lo stesso Langdon vi entrerà su invito di Winston).
Un’altra
installazione piuttosto curiosa è quella dell’artista cinese Cai Guo-Qiang dal
titolo Head on. Quest’opera è stata realizzata nel 2006 per il Guggenheim di
Berlino (ignoro il perché si trovi nel romanzo di Brown a Bilbao, forse in
prestito in occasione di un’esposizione temporanea sull'artista). Qui vediamo
99 lupi che corrono tutti nella stessa direzione, seguendo probabilmente il
capobranco. Questo, però, finisce con lo schiantarsi contro una parete in vetro
e gli altri, seguendolo ciecamente, faranno la stessa fine. L’opera è
un’allegoria della condizione umana, simboleggiando principalmente la passività
degli individui che seguono pensieri e ideologie senza neanche porsi prima
delle domande. Seguire passivamente la massa non è un corretto stile di vita,
si rischia, infatti, di sbattere contro degli ostacoli imprevisti e non saperli
aggirare : questo è ciò che vuole trasmettere l’artista.
Infine, incontriamo di nuovo Louise Bourgeois quando Robert
e Ambra devono fuggire dopo l’assassinio di Kirsch. I due, infatti,
attraversano una sala in cui sono esposte le opere dell’artista già citata dal
titolo Cells. Langdon non ha il tempo di soffermarsi ad analizzarle, ma noi
lo faremo. Si tratta di una serie di spazi architettonici (60 in totale e 28 quelli
esposti a Bilbao) realizzati nel corso di circa vent'anni e che rappresentano
diversi microcosmi: ciascuno di essi ha una sorta di recinto che separa
l’interno del microcosmo in questione dall'esterno dell’opera. Ciascuna
“stanza” è realizzata con differenti materiali (legno, vetro, marmo) e contiene
vari oggetti (specchi, mobili, vestiti). Ogni cella rappresenta, infatti, una
paura o un dolore: dolore emotivo o psicologico, paura del buio o di non essere
accettati. Chi le osserva dovrà mettere in gioco sé stesso per comprendere e
affrontare le paure riprodotte.
Il tour virtuale insieme a Robert termina qui, ma il
Guggenheim di Bilbao conserva molte altre opere che vi invito a scoprire online
dal sito oppure, perché no, facendo un bel viaggetto e una visita di persona ad
uno dei musei di arte moderna e contemporanea più famosi al mondo.
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